Ci siamo lasciati alle spalle il secolo più bellicoso della storia dell’umanità, secolo nel quale la guerra stessa è cambiata colpendo sempre più i civili e sempre meno i soldati. Viene da chiedersi il perché; si cercano risposte nelle parole del Novecento sul concetto di conflitto, sull’idea di nemico: ci si imbatte in autori imprescindibili come Fenoglio, Pavese, Ungaretti e molti altri. Voci che riportano a I Persiani di Eschilo. E allora si mettono insieme queste voci, come chiarisce il sottotitolo dell’opera che allude chiaramente alla preghiera cristiana del Padre Nostro. Sembra infatti che questo mondo, prima ancora del pane, domandi un conflitto, cerchi qualcuno da combattere quasi per trovare, nella sopraffazione sull’altro, la certificazione del proprio esistere. La guerra trasforma tutti in belve, anche le vedove e le madri che perdono i figli. Lo dice bene la poesia di Corrado Govoni Guerra che viene pronunciata dai due cori all’unisono, quello delle donne appunto e quello dei Persiani di tutte le guerre, di tutti i morti in battaglia, e che sottolinea le atrocità di cui si diventa capaci. Per mostrare, senza vuota retorica quindi, né prediche o buonismo, il più direttamente possibile, quanto l’esperienza bellica agisca su tutti annientando l’humanitas di terenziana memoria riportando in superficie l’Es freudiano primordiale mosso solo da istinti ciechi e violenti.
In scena due fratelli, Eteocle e Polinice, ma anche Caino e Abele o un Serse sdoppiato, per un istante bambini. Poi l’età adulta e mille cose per cui combattere. Una partita a scacchi sotto gli occhi di un padre (l’ombra di Dario ma anche Edipo) che ha generato soldati, di una madre vinta nella sua condizione di moglie del “re dei re” (Atossa o Ecuba), di una sorella (Antigone?) folle. E i pezzi sono soldati veri, quelli che i grandi condottieri guidano per tracotanza al massacro, e che narrano la disfatta di Salamina che diventa il paradigma di tutte le battaglie. Ma a loro volta anche i due fratelli sono mossi da qualcosa: dal Fato o dagli Dei, dalla forza a cui allude Ivan Karamazov o dalla ragione del sangue (viene in mente Adelchi). E quando tutto finisce e il padre e la madre e la sorella sono morti, ma viene da chiedersi se non si tratti fin dall’inizio di fantasmi, la guerra continua: se non contro l’altro, contro se stessi mentre in scena, sul campo di battaglia, restano solo cadaveri.
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